di Guido Agnelli
La crisi climatica provocata dall’attività umana è una realtà incontrovertibile le cui conseguenze sono quotidianamente misurate dalla popolazione e dai governi di tutto il mondo.
L’Italia stessa ha sperimentato in questi ultimi anni fenomeni atmosferici del tutto inediti che hanno colpito sia i territori fragili e degradati dall’espansione edilizia delle aree costiere sia le foreste dell’arco alpino mentre si prevede che il nostro paese sarà al centro di grandi cambiamenti (desertificazione, erosione delle coste ecc) nel futuro.
Gli ecosistemi naturali, sempre più stressati, semplificati e intaccati dalla pressione antropica, perdono la propria capacità di resilienza nei confronti del cambiamento climatico. La loro distruzione è al contempo causa di quest’ultimo ed effetto ulteriore, moltiplicatore delle sue conseguenze nefaste.
Negli ultimi anni la sensibilità, anche popolare, rispetto alla crisi climatica e alla sua centralità nelle prospettive future dell’umanità, è cresciuta enormemente e testimonianza ne è la mobilitazione delle ultime settimane che ha coinvolto le piazze di tutto il mondo. Un contagio partito dai giovani ma che è dilagato in ogni strato della popolazione conquistando l’attenzione dei media e delle imprese sempre più proiettate all’inserimento di messaggi di sostenibilità ambientale nelle proprie strategie di marketing.
Il punto è che ciò che per molto tempo è apparso inesauribile (gli ecosistemi, in termini generali “la natura”) e del cui sfruttamento , per questo, non si faceva riguardo, oggi è diventato, agli occhi di sempre più persone consapevoli, qualcosa di raro e dunque prezioso.
A livello più alto le organizzazioni internazionali, gli attori economici e la finanza contemplano sempre più scenari futuri in cui gli oneri dovuti al cambiamento climatico e alla distruzione del nostro ecosistema peseranno in maniera sempre più opprimente sulle finanze degli Stati.
Secondo Moody’s Analytics un riscaldamento di 2 gradi costerà in termini economici, entro il 2010, circa 70 trilioni di dollari. Si tratta di stime per difetto che non tengono conto delle possibili catastrofi naturali puntuali causate da questo.
Secondo il Global Commission on adaptation il costo provocato dagli eventi atmosferici più acuti sarà di circa 1.000 miliardi di dollari all’anno per le sole aree costiere urbanizzate entro il 2050.
Se pure è vero che le conseguenze dello sviluppo economico occidentale colpiranno soprattutto i paesi dell’area intertropicale, già fragili sia economicamente che climaticamente, è anche una realtà nota che, in un mondo interconnesso, carestie e crisi climatiche hanno conseguenze sociali anche nei paesi che non ne sono direttamente colpiti, per esempio in termini di destabilizzazione politica di aree vicine, fenomeni migratori, conflitti armati.
Molti sono gli studi che hanno messo in relazione le primavere arabe di alcuni anni fa e la successiva destabilizzazione dell’area mediorientale, con le carestie, l’aumento dei prezzi dei grani e la rottura del patto sociale tra popolazione e classi dirigenti provocando guerre e crisi migratorie le cui conseguenze in Europa sono sotto gli occhi di tutti.
Non si può prevedere cosa possa avvenire se gli scenari dovessero peggiorare ulteriormente, tenendo conto che la stessa Europa non dovrà solamente fungere da bacino di accoglienza per i fuggiaschi climatici africani (come gli Stati Uniti per quelli centroamericani e i paesi oceanici e asiatici per quelli delle aree isolane e costiere sempre più sommerse) ma dovrà affrontare essa stessa le conseguenze della crisi, dalla desertificazione del Mediterraneo ai picchi di calore nelle grandi capitali del continente di cui già nel 2019 si sono registrati fenomeni inediti.
Chiarito allora che la distruzione degli ecosistemi è un fatto economico e non solo ideale, che riguarda sempre più gli investitori internazionali e non più qualche ong o accademico, è diventata più “naturale” la prospettiva di quantificare realmente, monetizzandolo, il valore della natura.
Per molti un processo di questo tipo può risultare, a dire il vero, una svalutazione della natura stessa, a cui si attribuisce una sacralità la cui monetizzazione appare sacrilega. Eppure questi meccanismi possono svolgere un grande ruolo nella sensibilizzazione della popolazione e dei decisori politici, poiché, volenti o nolenti, la quantificazione economica è quella che più ci risulta comprensibile, molto più del valore di esistenza e degli aspetti etici della conservazione delle specie, degli ecosistemi, della natura.
Questo processo di misurazione ha preso avvio ormai alcuni decenni orsono quando si tentò di paragonare l’ ecosistema ad un sistema economico in cui un capitale naturale produce annualmente degli interessi (servizi eco sistemici) a beneficio del genere umano. La visione che i primi teorici della materia dettero a questa interpretazione è stata volutamente antropocentrica proprio per seguire l’intento della sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
I servizi eco sistemici sono una miriade. Tutto ciò che gli ecosistemi naturali forniscono all’uomo e che è necessario al suo benessere.
Si tratta di servizi produttivi (agricoltura, legname, risorse di ogni genere), regolativi (i servizi la cui funzionalità è importante per la regolazione stessa degli ecosistemi come l’assorbimento o rilascio di CO2 nei confronti del riscaldamento globale o la capacità della vegetazione naturale di catturare nutrienti e inquinanti delle acque) e infine servizi culturali (i più legati all’uomo. Si pensi al paesaggio, unione di storia, attività umana e natura con enorme valore turistico economico).
Oggi il sistema di valutazione ha acquisito sempre più rilevanza tanto da essere ormai uscito dai dibattiti accademici per arrivare a influenzare le politiche degli Stati.
In prospettiva, così come spinto dalle Nazioni Unite, si potrà giungere all’obiettivo di integrare una contabilità ambientale, in cui annualmente misurare lo stato del Capitale Naturale di un Paese e i servizi eco sistemici erogati e quelli consumati, a quella economica, fornendo in questo modo una fotografia veritiera dell’andamento di quello Stato e della sua solidità economica futura oltre che della sua responsabilità nei confronti dei mutamenti climatici globali.
I metodi di quantificazione e monetizzazione sono diversificati anch’essi, in virtù delle profonde differenze tra servizi. Si tratta di valutazioni basate sui prezzi di mercato per i servizi produttivi e su metodi di valutazione indiretta per quelli regolativi e culturali.
L’intento fondamentale non è solamente comunicativo. Ci si propone anche di riportare all’interno del mercato alcuni beni e servizi che oggi sono considerati esternalità, che cioè non trovano nel marcato una giusta remunerazione. La prospettiva potrebbe essere quella di remunerare chi, conservando gli ecosistemi, diventa fornitore di tali servizi.
FOCUS: IL PROGETTO SOURCE
Anche in Lombardia l’approccio di valutazione e monetizzazione del capitale naturale ha preso il via, anche grazie al Bando Capitale Naturale di Fondazione Cariplo che ha coinvolto buona parte delle aree protette lombarde con l’intento di rafforzare la connettività ecologica di queste e di quantificarne e valutarne il valore.
Tra questi il progetto Source 2.0 ha lavorato per il miglioramento delle connessioni ecologiche all’interno dei PLIS Sorgenti del Lura e Valle del Lanza e del Parco Regionale della Spina Verde e ha compreso una parte di quantificazione e valutazione del capitale naturale e dei servizi eco sistemici all’interno delle aree.
Si tratta di aree che conservano e ripristinano ambienti di importanza fondamentale per la funzionalità degli ecosistemi padani in virtù della rarità che ormai li caratterizza.
Formazioni vegetali come quella del querco-carpineto planiziale e ancor più aree spondali e umide come quella di Albiolo, rappresentano il relitto degli ecosistemi lombardi e padani un tempo estremamente diffusi e oggi quasi completamente scomparsi.
Per questo oltre a fungere da fondamentale serbatoio di biodiversità costituiscono anche un passaggio di grande importanza per la flora e la fauna che consente l’attraversamento del deserto padano tra le aree agricole e quelle edificate.
Il capitale naturale presente in questi territori è soprattutto di carattere boschivo. La foresta è lo stadio maturo e più stabile degli ecosistemi di pianura e quello che distribuisce la maggior varietà e complessità di servizi eco sistemici.
In questo caso non si tratta ancora di foreste in stadio maturo, poiché per lo più sono caratterizzate da ampi tratti di robinieto e castagneto, entrambe specie alloctone che prosperano con il governo a ceduo del bosco. Tuttavia molte aree stanno convergendo verso il ripristino della vegetazione potenziale e la lenta estromissione delle specie invasive. Inoltre i tre parchi coprono un territorio diversificato, seppur limitrofo, che consente di rappresentare diversi tipi vegetazionali, dal querco carpineto alla faggeta fino alla vegetazione termofila a brugo e roverella dei versanti prealpini esposti a mezzogiorno, passando per le ontanete e i saliceti della aree umide e i preziosi magno cariceti e canneti, luogo di riproduzione di molte specie anfibie e avicole europee.
I servizi emanati annualmente da questo capitale sono i più diversificati. Dalle produzioni agricole (soprattutto fieno e cereali) e di legname derivanti dal governo a ceduo di ampie zone dei parchi, tra i servizi produttivi, all’organicazione e conservazione della CO2 in forma di carbonio sia nella massa arborea e arbustiva che nella sostanza organica del suolo. Dalla purificazione delle acque da parte della vegetazione ripariale alla creazione di ambienti unici per la conservazione della biodiversità del territorio per quanto riguarda i servizi di regolazione. E infine il valore paesaggistico e culturale di aree che non solo costituiscono un importante stacco paesaggistico in un territorio fortemente antropizzato come quello delle province di Como e Varese, ma dove anche il valore storico e culturale è estremamente forte. In questi territori correva infatti la cosiddetta linea difensiva Cadorna, costruita durante la Prima Guerra Mondiale a difesa del confine settentrionale ed oggi ristrutturata per lunghi tratti.
Chi abbia occasione di passeggiare per il Parco Regionale Spina Verde potrà immergersi nelle trincee e comprendere la vita militare durissima dell’epoca e al contempo ammirare paesaggi di straordinaria bellezza sul lago di Como o, dal versante meridionale, sulla pianura padana.
Il lavoro sperimentale di valutazione di questi servizi disegna un quadro articolato e fa anche emergere le grandi contraddizioni che segnano ancora la materia. Emerge infatti il grande valore di questi lembi di naturalità, molto maggiore di quello che potrebbe essere derivato dalla loro trasformazione in altri usi. Tuttavia si rende evidente anche la difficoltà di remunerare questo valore alla collettività e ai gestori dei parchi oltre che l’impossibilità di quantificare alcuni servizi di grande importanza. Queste difficoltà portano allora ad una conclusione: la valorizzazione dell’ambiente è un punto di partenza per la comprensione della sua preziosità e uno sprone alla sua conservazione. Il passo ulteriore per rendere veritiera questa affermazione è riuscire a creare un mercato che remuneri questi servizi che, ad oggi, rientrano per lo più nel campo delle esternalità economiche.
Ma si è anche consapevoli che la valorizzazione così effettuata non può che coprire una ristretta parte del valore di un bene o un servizio, poiché non riesce a comprendere il valore più strettamente “etico” che attribuiamo alla natura, come il valore di esistenza (per esempio il valore che attribuiamo alla non estinzione di una specie) e quello di lascito (il valore che attribuiamo al garantire ai nostri fili e nipoti di vedere e godere della stessa qualità degli ecosistemi di cui abbiamo goduto noi).
Il cammino è ancora lungo.